Proteggere entro il 2030 il 30% delle terre e delle acque del Pianeta, invertendo la rotta rispetto alla perdita di biodiversità, e rigenerare il 30% degli ecosistemi degradati. Insieme al riconoscimento della necessità di dotare il Global Biodiversity Framework di una copertura finanziaria di 200 miliardi di dollari.
Sono alcuni degli obiettivi del primo accordo globale sulla biodiversità raggiunto alla Cop15 in Canada, ma sotto la presidenza della Cina, per garantire la stabilità dei servizi ecosistemici. Servizi fondamentali per la sicurezza umana, lo sviluppo sostenibile e duraturo, la tutela della natura e anche per la lotta contro la crisi climatica.
Si tratta di un accordo storico per alcuni versi, ma che non è ancora abbastanza per altri. In positivo oltre agli obiettivi citati c’è il fatto stesso che la biodiversità diventi finalmente una priorità per la comunità internazionale, accanto alla crisi climatica. Restano deboli però l’efficacia dell’accordo, la cui attuazione viene in sostanza affidata all’azione volontaria dei singoli Stati, e la riduzione dell’impronta ambientale delle attività economiche per cui non c’è un target specifico. Contestata, poi, la mancanza di un fondo specifico dedicato ai Paesi in via di Sviluppo.
Ora saranno fondamentali le azioni di tutela dei singoli Paesi, i due momenti di ‘monitoraggio’ del rafforzamento dei Piani Nazionali per la biodiversità (2026 e 2029) e il ruolo di stimolo e controllo della società civile.
Qui l’approfondimento di Valori.